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Uccelli di campagna addio, quelli di città hanno la meglio
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Uccelli di campagna addio, quelli di città hanno la meglio
L’Italia non è un paese per rondini. E neanche per passeri, cardellini, averle e allodole. Tutte quelle specie, cioè, legate a un mondo agricolo che sta lentamente scomparendo.
In compenso sono in netta crescita cornacchie, colombi e storni, riusciti abilmente ad adattarsi alla vicinanza con l’uomo, come sottolinea Repubblica in un recente articolo.
I numeri parlano chiaro. L’ultimo rapporto della Lipu, Lega Italiana Protezione Uccelli, registra un calo dell’11% in ben 26 specie legate all’ambiente agricolo, tra il 2000 e il 2010. I passeri, in particolare, sono a rischio: negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 5%. Al contrario, i piccioni hanno subito una crescita del 14%, seguiti dalle cornacchie (+2,8%) e dagli storni (+1,5%).
Le cause sono da attribuire all’antropizzazione sempre più pervasiva. «Ormai non si può neanche più parlare di un degrado dello spazio agricolo - commenta Elisabetta De Carli, coordinatrice del progetto Mito per il monitoraggio degli uccelli in Italia - Nella regione in cui vivo, la Lombardia, lo spazio agricolo non esiste più».
E le esigenze dell’uomo cittadino, purtroppo, non coincidono con quelle di questi animali. I fili della luce, per esempio, sono invisibili e molto pericolosi per i migratori e le vetrate dei palazzi confondono gli uccelli che si orientano con le stelle, rappresentando un ostacolo che costa la vita a molti esemplari.
Ma il problema non si ferma ai centri urbani. Anche le campagne rimaste stanno diventando un luogo inospitale. «La legislazione sull'igiene negli allevamenti – spiega Mauro Delogu, ornitologo dell’Università di bologna - vieta i nidi di rondine all'interno delle stalle. Se ci sono troppe mosche bisogna mettere le reti alle finestre o eliminarle. In case e condomini i nidi vengono spesso rimossi perché considerati sporchi». I pesticidi, poi, fanno la loro parte perché gli insetti indeboliti dai veleni sono i primi a essere mangiati.
Infine, il cambiamento climatico sposta le date delle migrazioni e sfasa l’arrivo delle specie non stanziali rispetto al ciclo riproduttivo degli insetti, cibo indispensabile ai passeri durante la cura dei piccoli.
E resta il rammarico, come sottolinea Delogu: «Negli anni '60 incontrare un'averla in campagna era un'esperienza banale. Oggi abbiamo perso anche la capacità di riconoscere questa specie. Così come rischia di avvenire per usignoli, capinere, pettirossi e cince».
Fonte: http://gogreen.virgilio.it
In compenso sono in netta crescita cornacchie, colombi e storni, riusciti abilmente ad adattarsi alla vicinanza con l’uomo, come sottolinea Repubblica in un recente articolo.
I numeri parlano chiaro. L’ultimo rapporto della Lipu, Lega Italiana Protezione Uccelli, registra un calo dell’11% in ben 26 specie legate all’ambiente agricolo, tra il 2000 e il 2010. I passeri, in particolare, sono a rischio: negli ultimi dieci anni sono diminuiti del 5%. Al contrario, i piccioni hanno subito una crescita del 14%, seguiti dalle cornacchie (+2,8%) e dagli storni (+1,5%).
Le cause sono da attribuire all’antropizzazione sempre più pervasiva. «Ormai non si può neanche più parlare di un degrado dello spazio agricolo - commenta Elisabetta De Carli, coordinatrice del progetto Mito per il monitoraggio degli uccelli in Italia - Nella regione in cui vivo, la Lombardia, lo spazio agricolo non esiste più».
E le esigenze dell’uomo cittadino, purtroppo, non coincidono con quelle di questi animali. I fili della luce, per esempio, sono invisibili e molto pericolosi per i migratori e le vetrate dei palazzi confondono gli uccelli che si orientano con le stelle, rappresentando un ostacolo che costa la vita a molti esemplari.
Ma il problema non si ferma ai centri urbani. Anche le campagne rimaste stanno diventando un luogo inospitale. «La legislazione sull'igiene negli allevamenti – spiega Mauro Delogu, ornitologo dell’Università di bologna - vieta i nidi di rondine all'interno delle stalle. Se ci sono troppe mosche bisogna mettere le reti alle finestre o eliminarle. In case e condomini i nidi vengono spesso rimossi perché considerati sporchi». I pesticidi, poi, fanno la loro parte perché gli insetti indeboliti dai veleni sono i primi a essere mangiati.
Infine, il cambiamento climatico sposta le date delle migrazioni e sfasa l’arrivo delle specie non stanziali rispetto al ciclo riproduttivo degli insetti, cibo indispensabile ai passeri durante la cura dei piccoli.
E resta il rammarico, come sottolinea Delogu: «Negli anni '60 incontrare un'averla in campagna era un'esperienza banale. Oggi abbiamo perso anche la capacità di riconoscere questa specie. Così come rischia di avvenire per usignoli, capinere, pettirossi e cince».
Fonte: http://gogreen.virgilio.it
Re: Uccelli di campagna addio, quelli di città hanno la meglio
morokan ha scritto:mi ha incuriosito questo articolo,e volevo raccontarvi la mia esperienza con l'avifauna del luogo in cui vivo ( provincia di ferrara).
io lavoro presso una grossa azienda agricola,posta ai margini del comune, piuttosto grosso, in cui abito; negli anni, ho visto sparire, le rondini, che nei magazzini nidificavano, con almeno 6/8 coppie,i balestrucci, gli usignoli, si contano sulle dita di una mano, i cardellini insieme ai verdoni si sono spostati nel centro abitativo, in quanto più protetti dagli attacchi delle gazze ladre,ma sono i merli che mi hanno colpito, c'è n'erano a perdivista, ora ne conti pochissimi, e mi manca, all'avvicinarsi della primavera il loro canto che avvisava la bella stagione in arrivo.
in compenso, a parte i corvidi, che spesso depredano i nidi altrui.......sono tornati i picchi, il verde, ed il rosso, l'upupa,e cun sommo piacere, 2 coppie, a distanza di qualche km, di colombacci!!!era dagli anni 70 che non nè vedevo!!
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