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L'oscuro Bolborhynchus orbygnesius di F.S. D' A l b a

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Messaggio Da massimo riva Gio Lug 18, 2013 12:27 am

Ciao ragazzi,vi presento questo interessantissimo scritto del mio Caro Amico Francesco,molti di voi lo conosceranno per i tanti Articoli che egli scrive per la Nostra Rivista Federale,Italia Ornitologica,della quale è uno dei principali Autori.

Ringraziandolo da parte mia e da parte di tutti gli Allevatori per Passione,vi auguro buona lettura.

L’oscuro Bolborhynchus orbygnesius (Souance) 1856 ed i successi nella sua riproduzione.

Allorquando si ha la ventura di incontrare un Bolborhynchus lineola, evenienza invero lungi dall’essere inconsueta ai giorni nostri, non possono non figurarsi alla mente quante e quali difficoltà abbia comportato la stabilizzazione degli attuali ceppi negli allevamenti moderni, né può obliterarsi quanto prossimi fossero i tempi nei quali tale mirabilissimo pappagallo costituisse una rarità e richiedesse artifici ingegnosi per garantirne la sopravvivenza, prima ancora che la riproduzione. Nella prima metà degli anni novanta l’eccellente rivista tedesca die Gefiederte Welt inseriva il parrocchetto barrato tra le rarità vedute in un’esposizione, dopo lunga assenza dai mercati dell’Europa.

I dati che Th. Arndt riportava nel suo Lexicon of Parrots, volume IV, pp. 268 e seguenti a proposito della mortalità tra Psilopsiagon e Bolborhynchus nel periodo di acclimatazione superavano purtroppo quelli della peste nera: il 50 % per Psilopsiagon aymara tra l’80 ed il 95% per Psilopsiagon aurifrons, tra l’80 ed il 90% per il Bolborhynchus ferrugineifrons (che invero parrebbe essere stato ufficialmente esportato tra il 1975 ed oggi solo una volta, in Giappone, nel numero di venticinque esemplari) e parimenti tra l’80 ed il 90% per il nostro Bolborhynchus orbygnesius.

Queste poche righe danno conto della meritevolezza dell’intervenuto blocco legislativo delle importazioni, blocco al quale farebbe tuttavia da armonico contrappunto un affievolimento della disciplina di tenuta della documentazione CITES, che ben potrebbe venire sostituita dal semplice anellamento dei pulli nati in cattività (ma ciò costituirà oggetto di approfondimenti tecnici, che troveranno spazio nella presente sezione).

Cennando in breve ad alcune curiosità di storia naturale del lineola in Europa, si rammenta che i risalenti successi nella riproduzione vennero agevolati dalla presenza di nidi cosiddetti a banjo (assai in voga, invero, agli inizi del secolo trascorso) ovvero con l’apposizione di tubi di accesso, diretti a conservare il massimo grado di oscurità all’interno del talamo. Sempre Th. Arndt, nel quinto volume dell’Enzyklopädie der Papageien und Sittiche (tra i dodici pubblicati, quello di più ardua reperibilità) dà conto delle difficoltà nel formare l’attuale ceppo, mentre R. Low, in Parrots, Their Care and Breeding, p. 446 narra della particolare attrazione di una (sola) delle sue coppie per le precipitazioni nevose, tantoché nell’inverno britannico aprivano le ali sotto la neve, come i pappagalli sono usi fare allorquando piove. Infine M. Weber, in Tierwelt 2002 descrive alcuni suoi bolborinchi che slittavano sulla neve con il ventre, a mo’ di pinguini.

Lo scrivente detiene una coppia di lineola in libertà nella biblioteca del suo studio; essi si diportano nel modo più urbano che ci si possa figurare, si sono limitati ad intaccare la copertina di un solo volume del Novissimo Digesto Italiano (si ricorda che un Pionus tumultuosus seniloides in proprietà a R. Low rovinò il dorso della copertina dei tre volumi originali del Greene). Se vivono in libertà entro una stanza si collocano sempre nel medesimo luogo, in un anfratto quanto più in alto possibile, portandovi materiale vario (specie strisce di carta) ove allestiscono un nido. Dunque, come è consigliato quando fugge un serpente di cercarlo dapprima nei luoghi più consoni alle sue abitudini, e così un Dendroaspis sarà probabilmente in alto, così anche il bolborinco.

A questo proposito sovviene alla mente un'altra curiosità di storia naturale: secondo taluni i bolborinchi avrebbero la caratteristica di appendersi ai rami con la testa verso il basso, poiché in tale postura da lontano apparirebbero assai simili alla testa del boide Corallus caninus

Ma tornando all’orbygnesius, esso è parte di un quadrumvirato di pappagalli, i quali, pur apparendo al gusto di chi scrive tra quelli più meritevoli di essere allevati ed osservati, è giunto in Europa in numero oltremodo esiguo e mai vi si è diffuso. Così come il Cyanoramphus unicolor, il Tanygnathus sumatranus ed il Graydidascalus brachyurus, il suo essere integralmente verde ha fatto sì che fosse reputato di scarso interesse all’allevamento. Vi sono stati tuttavia alcuni allevatori che in Belgio, nella vecchia Cecoslovacchia e nei Paesi Bassi lo hanno riprodotto con successo, ma di ciò infra.

Nomenclatura.
Il pappagallo viene descritto da Souancé nel febbraio 1865, a cavaliere tra pagina 64 e 65 della Revue et magasin de zoologie pure et appliquée ed in seno ad un lungo articolo suscitante ancor oggi un vivo interesse, titolato Catalogue des perroquets de la collection du prince Masséna d’Essling, duc de Rivoli, et observations sur quelques espèces nouvelles ou peu connues de Psittacidés.

L’autore, con la modestia che lo contraddistingue, fa precedere al lungo elenco di 59 specie di Psittaciformes (solo per il mese di febbraio) una breve prefazione, ove richiama il Conspectus psittacorum di Ch. Bonaparte e si limita a sostenere che oggetto del lavoro saranno talune osservazioni comparative tra le specie, volte alla determinazione dei caratteri distintivi tra gli uccelli nuovi o poco noti, per potere contribuire con qualche fatto nuovo al progresso dell’Ornitologia.

Tra il numero 54 (Myiopsitta aurifrons) ed il 55 (Tirica brasilensis) si insinua il pappagallo in oggetto: “Qui viene a collocarsi una specie nuova, Myiopsitta Orbygnesia, Bp., interamente verde, come la femmina di Myiopsitta aurifons, ma più grande. Bolivia”. La “O” maiuscola nel nome della specie non si deve a disattenzione: Souancé infatti utilizza sempre la lettera capitale allorquando un animale è dedicato ad una persona.

Bp. sta per Bonaparte, ma non va riferito alla specie nuova, per l’appunto descritta dal Souancé, ma al genere Myiopsitta, che il principe francese aveva descritto nella medesima rivista due anni prima, ovvero al nomen nudum di pari data.

Infatti alla pagina 151 del Revue et magasin de zoologie pure et appliquée, serie 2, fasc. 8, Bonaparte riporta una Myiopsitta orbygnesia, facendola precedere da un asterisco, esplicato alla successiva pagina 157 ove viene fatto notare che per specie e generi introdotti per la prima volta non possono essere identificate eventuali sinonimie; nel caso di specie la Myiopsitta orbygnesia del Bonaparte era un sinonimo dell’attuale Psilopsiagon aurifrons, così la paternità del nome va a Souancè.

La somiglianza con la femmina dello Psilopsiagon aurifrons ssp. margaritae e rubirostris (della quale ultima sottospecie la colonia più numerosa in Europa si trova nel Loro Parque) ha indotto sia gli allevatori, sia alcune istituzioni museali (cit. Arndt 269) a confonderla con il Bolborhynchus aurifrons, per quanto siano distinguibili dalla lunghezza e forma della coda (nell’ orbygnesius assai più corta e tozza), tuttavia gli esemplari di recente importazione spesso presentano la parte terminale della coda alquanto rovinata e possono acuire i dubbi nell’attribuzione.

Il barone Charles de Souancé ed il conte François Victor Masséna erano rispettivamente nipote e zio, i due descrissero insieme un gran numero di pappagalli: Ognorhynchus icterotis, Aratinga pertinax chrysogenys, Phyrrura devillei, Phyrrura molinae, Phyrrura calliptera ed il Pionus seniloides, tutti nello stesso articolo: Descrpition de quelques nouvelles espèces d’oiseaux de la famille del Psittacidés par MM. Massena ed de Souancé, pubblicato sul medesimo giornale francese testé menzionato, nel febbraio del 1854, annata nella quale vide le stampe anche il copiosissimo Conspectus psittacorum del Bonaparte.

La collezione del conte di Masséna era sterminata: contava oltre dodicimila esemplari, M. V. Barrow, nel piacevole volume A Passion for Birds: American Ornithology After Audubon (p. 23) narra che Thomas B. Wilson, medico che non aveva mai praticato l’arte medica, ma si era dedicato a raccogliere collezioni di scienze naturali (specialmente entomologiche, geologiche ed ornitologiche), si recò in Europa per acquistare la collezione del Masséna, che contava da sola almeno cinquemila specie di uccelli. Buona parte della collezione confluì in Pennsylvania anche se taluni esemplari si trovano ancora in Europa.

Tra questi fa d’uopo rammentare il misterioso Nestor esslingi, ossia il Kaka di Masséna, descritto da Souancé nel seguito dell’articolo ove compare l’orbygnesius e venduto al museo di Tring in Gran Bretagna (seppure avallata dal Salvadori, la descrizione venne dimostrata invalida dal Buller: si trattava infatti di un Nestor meridionalis).

Il dedicatario dell’animale è Alcide Dessalines d’Orbigny (la latinizzazione del suo cognome è errata, in quanto la “y” viene sostituita alla “i”), seppure Souancé non ne specifichi il motivo, è assai probabile supporre che l’esemplare descritto sia stato spedito o recato dall’Orbigny medesimo dal suo viaggio nell’America meridionale (segnatamente in Argentina, Brasile, Bolivia, Cile, Perù ed Uruguay).

Infatti Masséna aveva contribuito alla spedizione con la corresponsione di 3.000,00- franchi all’anno per quattro anni e l’Orbigny aveva portato seco in patria 783 specie di uccelli. O. Finsch, che adotta la forma Bolborrhynchus Dorbignyi adducendo la motivazione che la sostituzione è necessaria per la non immediata intelligibilità del dedicatario nella forma orbygnesia (Papageienp. 129, nota 1).

L’oscurità che avvolge l’animale fa sì che le sinonimie siano particolarmente esigue: il Taczanowski (conservatore del museo di Varsavia) rettifica il nome in Bolborhynchus orbignesius, nei Proceedings of the Zoological Society of London.

Nell’appendice al catalogo dei generi e dei subgenera degli uccelli conservati presso il British Museum collazionato da G. Gray nel 1855 (futuro dedicatario del Graydidascalus brachiurus), alla p. 147 si riviene il numero 936a (2361) che si riproduce; sul volume detenuto dall’Università della California e proveniente dalla collezione privata di F. Billaud vi è un’anonima glossa che, sottolineato l’anno specifica “nom. nudum here”.

La versione orbignesius (con la "i" anziché la "y") si ritrova anche nell’Hand List of Genera and Species of Birds del 1869, sempre del Gray, nonché nell’Index Generum Avium del 1889 di F. H. Waterhouse (seppure con indicazione di anno e pagina errate).

Il Reichenow, nel suo Conspectus Psittacorum, pubblicato nel Journal für Ornithologie, 1881, tomo 29, alla pagina 434 ne riporta una breve descrizione, catalogandolo quale sottospecie del Bolborhynchus aurifrons (tantoché in tedesco viene detto Grande pappagallo citrino – Grosser Citronen-Sittich, laddove il Citronen-Sittich è propriamente il B. aurifrons) : “Diagnose: B. aurifronti simillimus, sed major”.
Finsch lo chiamerà Psittacula andicola (nome che permarrà in tedesco Andensittich – altrimenti detto Dickschnabelsittich (pappagallo dal becco grosso) ed in ceco papoušíček andský.

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Messaggio Da Graziano73 Gio Lug 18, 2013 8:08 am

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Messaggio Da massimo riva Gio Lug 18, 2013 11:49 am

La nidificazione del Bolborhynchus orbygnesius in libertà

Il medico inglese W.T. Greene, nella sua principale opera Parrots in captivity , pubblicata nel 1884 e rimasta quale principale fonte informativa per gli allevatori anglofoni, sino al secolo XX inoltrato (per lo meno per coloro i quali non comprendendo il tedesco non avevano accesso alla copiosa letteratura sull’allevamento proveniente dalla Germania) indulge sovente in lunghe digressioni, talora generiche (in tema di tassonomia, ad esempio, insiste ripetutamente nell’affermare che tutti i pappagalli dovrebbero essere ricompresi nell’unico genere Psittacus; oppure appare a tratti contestare le recenti teorie evoluzioniste) talaltra più specificamente connesse all’oggetto della narrazione, come invero un lungo passaggio sulle modalità inconsuete di nidificazione dei pappagalli.

All’epoca, naturalmente, le nozioni sulla vita in libertà dell’orbygnesius erano sostanzialmente assenti né se ne era potuto osservare un sito di nidificazione. Dunque l’autore descrive gli usi del Cyanoliseus , di Myiopsitta e di altri noti pappagalli che non nidificano entro i tronchi e le cavità arboree.

A questo proposito, in un libro di piacevole lettura della casa editrice australiana CSIRO (che sta per Commonwealth Scientific and Industrial Research Organisation e che ha pubblicato una serie di volumi di sommo interesse per chi sia appassionato delle scienze naturali degli antipodi) ossia Boom & Bust. Bird Stories for a Dry Country a pp. 121 e ss P. Olsen, nel capitolo Night parrots: fugitives of the inland descrive le strane abitudini nidificatorie di Geopsittacus occidentalis il quale vive all’interno dei cespugli del c.d. bush dell’ Outland australiano. [Chiunque sia appassionato di Flora australiana non potrà prescidnere dalla monumentale collana ad essa dedicatale da tale editore, così come si diletta ad apprendere la storia naturale dei masrupiali dovrà rivolgersi all'ampio suo contributo anche in questo campo]

Va detto che in cattività le riproduzioni di Bolborhynchus orbygnesius sono state ottenute in ordinari nidi a camera singola a doppia camera. Tuttavia in libertà, secondo quanto riportano Juniper e Parr, è uso scavare il proprio nido entro le ripe argillose dei fiumi.

La notizia è comunque tratta dall’unica fonte che ha descritto i siti di nidificazione, ossia C.C. Olrog, Las aves sudamericanas, una guía de campo 1968 Universidad de Tucumán.

Ciò potrebbe rivelarsi utile in ipotesi di un tentativo di riproduzione in cattività. Come ho avuto a segnalare di recente sulla nostra rivista Italia Ornitologica, il gran numero di Cyanoliseus patagonus presente presso il Московский зоопарк è dovuto alla saggia valutazione dei gestori del parco, i quali hanno ricreato una roccia con idonee cavità.

Tale tecnica ha successo anche con altri uccelli che nidificano sulle ripe, così ad esempio nel numero di aprile 2013 di Gefiederte Welt si dice della riproduzione del gruccione.

Oltre dunque a tale particolare forma di nidificazione, va segnalato un articolo del danese Niels Krabbe (un nome ben noto a chi sia appassionato di Pionus) e di A.L. Sureda e R. Canelo, dall’eloquente titolo First documented record of Andean Parakeet Bolborhynchus orbygnesius in Argentina, roosting communally in a stick nest . Sul campo gli autori hanno avuto difficoltà a discernere tra Bolborhynchus orbygnesius e Psilopsiagon aurifrons tantoché si sono affidati anche alle registrazioni ed ai fonogrammi. Va detto che, nella sua smeraldina perfezione, il bolborinco presenta un’area più olivastra che include la testa e discende sino al petto, elemento che da una certa distanza può indurre a confonderlo con determinate sottospecie di Psilopsiagon aurifrons .

Il sito di nidificazione, in questo caso, è composto da rami secchi a formare una sfera di circa un metro di diametro, con più ingressi ed ubicato su di un ramo sporgente a cinque metri dal suolo su di una parete rocciosa.

Gli autori ritengono che la struttura possa essere opera di Furnariidae , quali ad esempio Phacellodomus striaticeps , solo in seguito occupata dall’orbignesio. L’articolo termina in forma dubitativa, non essendo invero noto se la costruzione abbia finalità riproduttive e chi ne sia l’architetto.

Invero vi è un elemento che forse consentirebbe di sostenere l’ipotesi di una autonoma costruzione da parte del nostro animale. Infatti nella rivista Cyanopsitta 82007) vi è una nota anonima che informa della costruzione di un nido semisferico da parte del più grande dei bolborinchi ( Bolborhynchus ferrugineifrons ) a diciotto metri dal suolo, costruito integralmente con muschio e sfagno. Alcune fotografie di nidi siffatti si possono vedere in un articolo pubblicato sulla rivista tedesca Papageien con riserva di indicarne in seguito più esattamente gli estremi.

Qui, come Fozio di Costantinopoli, riassumo quanto tengo a mente. Saliti ad altissime quote, alcuni ricercatori andavano in cerca dei siti di nidificazione del ferrugineifrons ma non erano in grado di rinvenire neppure uno. Ciò sino a quando non si rivolsero ad alcuni contadini (uno di essi del pari effigiato in foto, con baffi e camicia a quadri) i quali indicarono un grande sito di nidificazione sopra un alto albero solitario.

In seguito sempre lo stesso contadino additò un nido costruito molto più in basso, con muschi e legnetti e la didascalia evidenzia l’unicità di una tale costruzione. (Per altri ragguagli sui nidi del ferrugineifrons si rinvia anche agli studi del biologo colombiano David Alfonso Bejarano Bonilla, che si è occupato anche del consumo di sale da parte di questi pappagalli, nella rivista Ornitologia neotropical ma di ciò si parlerà in un altro scritto dedicato appositamente al ferrugineifrons .

Ebbene, in conclusione, se il ferrugineifrons ricorre a materiali di costruzione non è da escludere che il pappagallo che più gli è prossimo non proceda con modalità simili.

Dunque forse potrebbe essere giovevole dotare gli orbignesii di sufficiente materiale per potere costruire una sorta di accesso al nido, come sogliono fare i parrocchetti monaci.

Lo scrivente si propone di provvedere in tal modo con i suoi lineola , per valutare se tale contegno è presente in tutto il Genus anche se si è anticipato che proprio i lineola amano portare nel nido strisce di carta. Per vero la coppia di Psilopsiagon aymara di chi scrive è solita bramare cupidamente il cartoncino posto sul fondo della gabbia, che riduce in lunghe strisce, sino ad oggi, comunque, non ancora rinvenute entro il nido.

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Messaggio Da massimo riva Sab Lug 20, 2013 12:12 am

A giudizio di chi scrive, nell’allevamento di qualunque psittaciforme, per quanto semi-domestico possa essere diventato, ci si deve costantemente volgere alle notizie relative alla sua vita in libertà, al fine di dare soddisfacimento alle esigenze connaturate all’animale stesso.

Nel 1970 Koepcke ebbe a riferire che nella Provincia di Lima, ove abbonda, non si rinviene ad altezze inferiori ai 1.500 metri (The Birds of the Department of Lima, Peru).

Come gli spagnuoli di Cortés che trovano malarica Veracruz, mentre resistono sull’alpe sudamericana, così l’orbygnesius rifugge le torride e malsane pianure costiere ed alberga ove i freschi venti andini spirano.

Quando poi, nel mese di giugno il calore raggiunge quote più elevate, anche i bolborinchi salgono, oltre i seimila metri (J.L. Peters, J.A. Griswold, Birds of the Harvard Peruvian Expedition , in Bull. Mus. Comp. Zool. Harv.)

In un articolo che probabilmente vedrete in futuro sulla nostra rivista I.O., ove tratto dello Psilopsiagon aymara troverete alcuni estratti del resoconto del soggiorno di D’Orbigny (proprio il dedicatario dell’orbignesio) presso la località di Palca, in Perù (articolo che debbo ancora ultimare e spedire).

Nel volume Voyage dans l’Amérique méridionale: (le Brésil, la république orientale de l'Uruguay, la République argentine, la Patagonie, la république du Chili, la république de Bolivia, la république du Pérou), exécuté pendant les années 1826, 1827, 1828, 1829, 1830, 1831, 1832, et 1833 (1835), 2 p. 376, si apprende che il 20 maggio 1830 D’Orbigny fu a Palca, villaggio minuscolo composto di una chiesa, qualche casa sparsa ed un Tamba o casa comune per i viaggiatori, “la dernière réunion d’hommes sur le versant occidental des Cordillères” (vol. 2, p. 374) e per raggiungerla ebbe modo di osservare su di un’altura più piramidi di terra, così come attorno al villaggio, denominate Chulpas, ovvero le tombe degli antichi Aymara, risalenti ad epoca anteriore alla conquista. (per tale motivo l’aymara ha assunto il suo nome)

In tali luoghi ebbe la buona ventura “d’y rencontrer plusieurs espèces nouvelles d’oiseaux”; dopo il sostantivo oiseaux, a p. 376, vi è la nota 1: “Arara aymara, d’Orb”; ne fornisce una breve descrizione: “[…] entr’autres une très petite perruche, grosse comme nos moineaux, d’un beau vert, avec la tète grise ed une longue queue; les oiseaux-mouches géans y sont également très-communs” (“incontrai molte nuove specie di uccelli, tra gli altri un parrocchetto molto piccolo, grande come i nostri passeri, di un bel verde, con la testa grigia ed una lunga coda; i colibrì giganti sono del pari assai comuni”); l’Autore riferisce che la notte fu particolarmente fredda, Psilopsiagon aymara vive ad alte quote e tollera le temperature andine assai meglio di altre specie.

Ad ogni buon conto non so quando avrò terminato il resoconto completo sull’ayamara, poiché la copia di notizie è immensa. Senza nulla anticipare, riferisco tuttavia che sul prossimo numero di I.O. verrà pubblicata la prima parte del mio articolo sul Poicephalus crassus .

Se dunque l’aymara e l’orbignesio compartiscono areali simili (l’aymara sta più a meridione), è da ritenersi verosimile che all’orbignesio sia più molesto il caldo che non le temperature più fredde. Pur non essendo un Nestor notabilis ed essendo sensibile nella fase di acclimatazione al freddo (così Th. Arndt) o, forse rectius agli sbalzi di temperatura, andranno evitati alloggiamenti troppo caldi.

Anche il nostro comune lineola non ama soverchiamente il caldo e le uniche occasioni in cui le migliori femmine vedono perire uno dei loro parti è quando le schiuse avvengono in estate inoltrata.

Assai di recente ho avuto la lieta ventura di potere conferire con uno dei curatori degli uccelli del Giardino zoologico di Roma, persona di squisite maniere, superiore preparazione, grande esperienza e conversatore al punto piacevole, che mi ricordava nei modi il botanico Solander, con il quale tutti gli inglesi amavano trattare e vedersi accompagnati nelle visite ai propri giardini di piante esotiche.

Ebbene, tra le innumerevoli nozioni che il curatore ha inteso trasmettermi, mi ha riferito che Psilopsiagon aurifrons ama essere tenuto all’esterno [e qui soggiungo io: in grandi gabbie o voliere, ché altrimenti si dimostra apatico e soprattutto si inlatebra nelle proprie stanze, uscendo solo raramente. Aggiungo altresì che è una vera crudeltà privare aymara ed aurifrons del nido, attesa la loro timidità ed il loro essere inclini a patire per l’ansia, tanto da venirne a morte].

Dunque, il curatore ha una coppia di aurifrons nella città di Roma, una notte si stava abbattendo sull’urbe una tempesta di enorme portata, con venti vigorosi e copiose piogge. Egli, preoccupato per i suoi animali, uscì a controllare, ma –del tutto inopinatamente- li vide fuori del nido, con le ali semiaperte (quasi delle polene di vascelli) intenti a ricevere acqua e vento, con il loro visibile compiacimento.

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Messaggio Da Cristiano Ferrari Sab Lug 20, 2013 9:56 am

Molto interessante:un grazie di cuore a Francesco per averlo condiviso! Very Happy 
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