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Il fantastico volo del cardellino dipinto

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Il fantastico volo del cardellino dipinto Empty Il fantastico volo del cardellino dipinto

Messaggio Da Cristiano Ferrari Lun Dic 12, 2011 9:01 pm

Il fantastico volo del cardellino dipinto
Andrea Rosso


Il fantastico volo del cardellino dipinto Im_a303
Juan Mirò, "Nord-Sud" (1917)

Il cardellino: figura ricorrente nei quadri di decine e decine di pittori. Andrea Rosso in un acuto articolo tra il saggio e l’ironica rivisitazione ci guida all’inseguimento di questo prolungato, incredibile, volo immobile.

Quando la imperscrutabile giostra di geni agitava il corpo e la mente dell’uomo di Neandertal, i cardellini gli svolazzavano già intorno con la stessa curiosa traiettoria ondulata di ora. Allora come ora, frequentavano i cardi, ma anche non meno di 152 specie di piante diverse, adattandosi a impossibili posizioni lungo fusti sottilissimi come quelli del tarassaco, robusti come quelli del corbezzolo, spinosi come quelli dei cardi.
Noi non sappiamo quando possa essere nata l’idea di ritrarli. Atto d’amore che genera conoscenza che genera amore. Ma la tentazione deve essere stata fin da subito forte, molto forte. Questione soprattutto di colori: il giallo dello specchio delle ali, il nero del capo, il bianco del petto, e massimamente il rosso della misteriosa mascherina sulla faccia.

E poi... e poi quel becco a forma di cono quasi perfetto (che cresce a volte a dismisura e che gli allevatori-carcerieri, dicono i manuali, tagliavano periodicamente come unghie). Ecco, per Hieronymus Bosch, il becco del cardellino ha un’importanza fondamentale.
Chi guarda il prodigioso affollamento del pannello centrale del Trittico delle delizie terrene, non dico il becco, ma nemmeno il cardellino a prima vista lo vede. Il visionario pittore lo ha messo con la pancia nell’acqua di uno stagno verso cui premono uccelli esistenti e inventati, disposti in qualche ordine misterioso. E se non sapessimo che quegli uccelli sono simboli (di peccati specifici e di generica, popolare volgarità), verrebbe voglia di scorgere in quell'ordine di profili quasi una profezia darwiniana, un'anticipazione delle celebri tavole comparative dei fringuelli delle Galapagos...
Ma, naturalmente, non è così. Non l'intuizione di un ordine evolutivo, ma la trasmutazione alchemica ispira l'ossessione delle varianti formali di questa sovrabbondante popolazione animale. Quella che vediamo è "la natura turbata dalle forze demoniache della procreazione", "il sonno dell'anima offuscata dal peccato", un bestiario raccolto intorno a un qualche segreto ordinatore concettuale. Un anatema religioso, ma anche l’espressione di una ossessione descrittiva delle variabili formali dei viventi. Così da suggerire un altro salto di più di tre secoli in avanti, un altro nodo della biologia moderna, quello della morfologia trascendentale, e un altro nome, quello di Goethe. Davvero curioso che cercando cardellini, se ne possa addirittura trovare uno, in uno dei primi quadri dipinti da Juan Mirò, che sta leggendo Goethe...

Paliurus spina Christi è un arbusto diffuso in tutto il Mediterraneo meridionale, dove entra a far parte, insieme con molte altre essenze che hanno fatto della spina la propria salvezza dall’aridità, dell’orizzonte più caldo dei forteti litorali e delle macchie intricate del retroterra. Con il paliuro, non si può fare niente di utile. Ma è quello che ci vuole quando si deve fare una corona da tortura, da infliggere ai disperati e ai rivoluzionari di Galilea. E infatti una corona di spine tormentava le carni del Cristo sulla croce. Allora come ora, a frotte di dieci, dodici individui, i cardellini perlustravano siepi, alberi isolati, cardi, e ogni altro legno verticale. Ed è così che, acrobaticamente becchettando la corona, si macchiarono la faccia del sangue divino.
E questa è la terza ragione dopo il colore e il becco, che ha fatto la straordinaria fortuna pittorica del cardellino, una frequenza di raffigurazione, ma anche una vicinanza a Dio, del tutto sproporzionate ai suoi quindici grammi.
Al momento della creazione, ad esempio, una delle prime cose di cui assolutamente il pianeta ha bisogno è un cardellino... E questo cardellino se ne starà sempre molto vicino al Cristo, prendendosi, da solo, uno dei tre ulivi della Passione dipinta dal Maestro di Vyssi Brod (gli altri due sono per l'upupa e il fringuello).
Tra la seconda metà del Quattrocento e la prima del Cinquecento, in tutta Europa, e soprattutto in Italia, centinaia di quadri saranno visitati da Carduelis carduelis.
Ma vediamo subito che ce ne sono diverse sotto-varietà. Quelli che svolazzano intorno ai Magi dipinti dal Sassetta, il grande "realista magico", o quello che assiste (alquanto indifferente) al martirio di San Sebastiano di Josaphat Araldi (se si cercano coincidenze: l'unico dipinto conosciuto del maestro parmense), o anche quello che mimeticamente accompagna il San Giovanni di Hans Burgkmair, sono tutti cardellini isolati e selvatici, che potremmo prenderci la libertà di classificare come Carduelis carduelis picta sylvestris, se non fosse che, comunque, sembrano saperla lunga sulle umane vicende. Se ne stanno ai margini dei quadri, a sgranocchiare semi, soprattutto di miglio, e sembrano fare da decorazione. Già, "sembrano", perché guardando il San Gerolamo della Sacra Conversazione di Benozzo Gozzoli, ad esempio, torna alla mente che egli fu il campione dei difensori della verginità della Madonna (sicché il cardellino, che per il popolo aveva allora proprio il significato attribuitogli da Bosch, è lì a recitare una imbarazzante doppia parte simbolica).

Naturale che, a forza di posarsi intorno ai quadri, un po' alla volta i cardellini dipinti abbiano finito per avvicinarsi a un bambino, e naturalissimo che i due abbiano fatto amicizia, come ad esempio dolcissimamente si vede nell'Adorazione del Francia.
Ci prenderemo dunque ancora la responsabilità di chiamare questi altri cardellini con il nome Carduelis carduelis picta familiaris.
Se ne stanno nei quadri delle Madonne rinascimentali, accanto al sacro bambino, tra le sue mani, o nelle immediate vicinanze. Giocano con lui, gli svolazzano intorno, lo guardano rispettosi o stupefatti, ma anche con sovrana indifferenza, tentano di scappare, ma se scappano, si riposano lì vicino, su un tralcio di vite...
Fungai, una volta, il cardellino ha davvero rischiato di stritorarlo nella sacra manina... Ma c'è anche il caso opposto (guardate ad esempio la Maestà di Siena di Ambrogio Lorenzetti, dove è il bambino ad essere spaventatissimo).
Prevale, però, la dolcezza. Rosso su rosso è il cardellino della Madonna del Popolo, dipinta da Lippo Memmi forse con l'aiuto di Simone Martini (suo cognato), tenuto dal bambino in dolce abbandono...; delicata, leggera è la presa nella Madonna col Bambino e due angeli del Sodoma, come nella Sacra Conversazione di Paris Bordon (e come nei due cardellini più celebri, di Leonardo e di Raffello, di cui si dirà più avanti).
Dato che San Giovannino è sempre lì anche lui, si può benissimo giocare in tre — bambino, cardellino e San Giovannino — come si vede nella più dolce delle Madonne del Genga e ancor più, di nuovo, nel cardellino di Raffello...

La direzione intuita da Bernardino Luini era in realtà proprio la cosa (l'unica) che ci interessa più del cardellino: la pittura può diventare conoscenza della natura.
Quando Antonello da Messina arriva a Venezia (1475), il vicentino Bartolomeo Montagna, rimane folgorato dalla rivoluzionaria intuizione del messinese: la luce sinteticamente compenetra uomo e natura. Siamo alla fine del Quattrocento, e quindi qui si parla, per il momento, di una soluzione armonica (architettonica) al problema, o di "dialogo tra figura e ambiente secondo rapporti atmosferici".

In una casa italiana del Cinquecento si poteva del cardellino fare un meraviglioso e crudele giocattolo attaccandogli un filo ad una zampa. È così infatti, che lo vediamo ritratto da Jacopo del Casentino e così pure lo raffigura Carlo Crivelli.
Bruttissima storia, legare ad un filo la vita del povero cardellino. Ma i bambini semplici, quasi sempre popolani, che per un pezzo di pane posavano per i pittori di allora, scoprivano così una pulsazione del mondo naturale — la meraviglia del battito frequentissimo sotto il tepore delle piume colorate — quella sorprendente affinità tra viventi che possiamo confrontare con il virtuoso, e un po' sinistro, buonismo di molti "eco-bambini" di oggi.
E storia ancor più brutta quella di tenerlo in gabbia. Guardate quella dipinta da Hogarth per i bambini Graham, o quella a più posti di Goya , o infine la monoposto di Nord Sud, dipinta da Mirò, sfondata da più parti, al punto da sembrare più lo strumento di una libertà possibile e imminente che quello di una tortura lungamente subìta. (Invece le gabbie vere, quelle degli allevatori di cardellini, servono a incrociare: lui con la lucherina, la verdona, la ciuffolotta, oppure lei con il lucherino, il verzellino, ma anche il fanello, l'organetto, lo zigolo giallo, il crociere... Senza contare, naturalmente, l'incrocio più famoso, quello tra cardellino e canarina, incrocio definito "facile" tra lui in prigione e lei deportata dalle Canarie).
Non tutti i bambini, naturalmente, hanno la stessa reazione toccando cardellini. Questione di indole, ma anche questione di ceto sociale. Lo possiamo capire mettendo a confronto i cardellini dipinti più famosi. Guardiamo ad esempio quello leonardesco così amorosamente protetto nel panneggio della Madonna Litta, da essere quasi invisibile. E c'è una maniera altrettanto sublime di descrivere pittoricamente l'atto dello "sfiorare", di quello di Raffello nella Madonna del cardellino?
Ma non tutti i Cristo hanno con i cardellini questo armonioso e protettivo approccio.
Sull’orlo del Settecento miscredente, i cardellini delle tele, soprattutto, mangiano.
Non c’è natura morta o decorazione, sia pure d’altare, in cui non faccia capolino un cardellino fuori contesto, decorativo, per fatti suoi. E tra i semi che mangia nei quadri, a differenza che nella realtà, il primo posto spetta certamente ai fichi. Insistentemente, nella tradizione greco-romana, il fico è l’albero impuro. Il tormentato ciclo di riproduzione della pianta ha da sempre alimentato una leggenda simbolica che va dall’iconografia del Paradiso terrestre fino alle metafore linguistiche e a un gran numero di termini scurrili. Come se non bastasse, il frutto intero assomiglia a un testicolo, aperto a una vulva; e trasuda un lattice che per i Romani simboleggiava lo sperma. Gli unici due dipinti di cardellini di mano femminile li ritraggono sui fichi.
Pablo Picasso, che non era un carattere facile, diceva, sulla difficoltà di comprendere l'arte: "Vogliono tutti capire la pittura. Provino a capire il canto degli uccelli!". C'è poco da capire degli uccelli. Quello che c'è da capire lo capiscono loro e tra loro. Mistero. Le fotografie, con la loro pretesa di oggettività, dicono molto poco. Così dicono molto poco del cardellino le opere che vogliono ingenuamente rappresentarlo "così com'è".
Lo stesso Picasso aveva inciso, per la Storia Naturale di George Louis Leclerc de Buffon, un cardellino "scientifico", ultimo di una sterminata iconografia descrittiva e primo di una vera e propria leggenda figurativa del cardellino stampato. Nessuno dei grandi disegnatori naturalistici del nostro secolo si è sottratto a quella tentazione antica di rappresentare il giallo, il nero e il rosso in forma di uccelletto.

Il fantastico volo del cardellino dipinto Im_a302
Hieronymous Bosch, "Il giardino delle delizie" (Trittico delle delizie terrene), 1510 c. - particolare.

Fonte-http://www.regione.piemonte.it/parchi/riv_archivio/speciali/s18098/art3.htm
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